Ironico, impudente, provocatorio e inarrestabile: Natalino Balasso torna ancora a calcare il palcoscenico del Teatro Astra. C’è un grande libro al centro del palco. Al suo interno oltre duecentocinquanta lemmi incolonnati come in un dizionario cercano la propria definizione. Lo spettacolo è un corollario al precedente monologo, Velodimaya, sulla comprensione del mondo. È la parola “definizione” a governare questo nuovo monologo, perché è ciò che ci fa vedere il mondo in maniera distorta, che ci fa credere che la Verità sia una sentenza “definitiva”.
La parola porta già nel suo corpo la menzogna perché ogni significato è legato al suo contrario, così che si può estendere a tutti gli umani quel che lo scrittore americano Don De Lillo scrive nel suo magnifico Cosmopolis: “Mentire è il tuo modo di parlare”. Nel mondo contemporaneo le parole diventano “tag”, cioè etichettano le cose come si etichettano le mele: una ad una ma con lo stesso disegno. Il tag è la modalità tranciante in cui rientra la nostra comprensione della società. Ogni concetto è una scatola chiusa di cui si legge solo l’etichetta. Cosa c’è nella scatola? Perché ci ostiniamo a tenerle chiuse quelle scatole? È qui che Balasso si produrrà nell’arte in cui è ormai specializzato: rompere le scatole.
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